giovedì 10 aprile 2008

Tutta cromata, è tua se dici sì

God, I hate rock and roll.
Leigh Cabot (Alexandra Paul): ultime parole di Christine (John Carpenter, 1983).



Christine è un film minore di John Carpenter che ho visto tante volte, perché un film minore di Carpenter è sempre meglio di una retrospettiva integrale di Cristina Comencini, di cui parleremo un'altro giorno perché adesso parliamo di Christine e non di Cristina. John Carpenter ha fatto capolavori, ha fatto cose minori, ha fatto marchette, ha fatto robe con la mano sinistra. Ma non ha mai — mai — fatto un brutto film. Non è che gli manchi la volontà, con Starman ad esempio ce l'ha messa tutta, è solo che non è capace, tutto qua. Un'idea di cinema, foss'anche un'ideuzza, ce la deve mettere sempre, per forza.
Qui si trovava tra le mani un romanzo di Stephen King neanche tanto male (id est un romanzo breve), con una furbata tipica di King quando era ancora in forma. Prendi un'idea vecchia come il mondo, il trito castello stregato appollaiato in cima all'annosa collina, residuo di tempi bui, antipositivisti, preindustriali. Trasformalo in una Plymouth Fury modello 1958, rosso fiammante. Gira la chiavetta. Vavavuma.
(In questo senso, Christine è l'adattamento americano, ossia la versione narrativa, della DS Citroën di Barthes, qui giustamente in chiave rétro — dato che son passati più di vent'anni, e la coppia tecnologia e progresso è come minimo separata in casa: un "Mito d'oggi". Vale a dire un mito di ieri.)
Carpenter è reduce dal suo "Heaven's Gate", The Thing, un flop colossale (e, a scanso di equivoci, un grandissimo film). Per lui la pacchia è durata pochissimo (meglio, così tornare a fare b-movie gli è stato più facile che ad altri). Di questa storia gliene frega relativamente, credo, spera solo di farci qualche soldo. Al fascino della carrozzeria cromata conferisce una componente sessuale più diretta che nel libro: la cosa gli riesce meglio che a Cronenberg in Crash perché sa che l'accoppiata sesso-lamiera non è proprio il massimo dell'originalità, non è il caso di perderci troppo tempo. Ma qui il vero Carpenter's touch sta nell'uso del soundtrack. Carpenter la musica la conosce. Soprattutto il rock (comprese le varianti heavy metal), e la musica di film: le compone quasi sempre lui, a volte con Alan Howarth, e il Main Theme di Halloween vale la doccia fredda di Herrmann in Psycho. Su The Thing non aveva il tempo, suppongo, quindi ha chiamato Morricone, e se ricordate il film la cosa che colpisce è che Morricone ha composto una musica "alla Carpenter". Segno che Carpenter non è il primo venuto. Comunque, l'ideuzza cinematografica di Christine è tutta lì. Fin dai titoli di testa, anno 1958, nell'officina dove escono le macchine nuove, tra cui "lei", Bad to the Bone (George Thorogood and The Destroyers): "On the day I was born, the nurses all gathered 'round / And they gazed in wide wonder, at the joy they had found / The head nurse spoke up, and she said leave this one alone / She could tell right away, that I was bad to the bone". Così si comincia un film, cazzo, senza barare, senza tentennamenti, chiaro e tondo, "She was born bad. Plain and simple", avverte il poster originale: bad to the bone e poche storie (in francese si direbbe che Carpenter è un regista "brut de décoffrage", che suona bene anche per un'automobile appena uscita dall'officina). E infatti, Christine nasce e ne pianta già di tutti i colori (con una preferenza per il rosso). Restiamo ancora nell'officina, per la dissolvenza c'è ancora tempo. Not Fade Away, non lo dico io, ma Buddy Holly. Ecco, ora possiamo uscire fuori: la solita stradina di Sobborgomerdosomiddleclass, USA, una "bella giornata di sole". Not Fade Away: ma stavolta non è più Buddy Holly, bensì Tanya Tucker. Il che significa che dal '58 è passato un quarto di secolo. Sono stato chiaro? Si prende uno standard, si incollano senza soluzione di continuità due versioni diverse, e nell'arco di un singolo tune passano venticinque anni. Sembra un'invenzione a tavolino (di missaggio), ma sullo schermo funziona, eccome se funziona. E l'aggancio sonoro è fatto così bene che probabilmente la maggior parte degli spettatori nemmeno se ne accorge, ma Carpenter se ne fotte, i film non li fa per gli spettatori, li fa per me e basta, è per questo che mi piace Carpenter. Io il film lo vidi a dodici anni, quando hai dodici anni sei suscettibile, e ti fa piacere vedere un film fatto da un signore che non ti prende per fesso. Che pensa che i fessi sono gli altri. Oggi di anni ne ho trentasei e al cinema vedo quasi sempre film fatti per gli altri. Film per i fessi.

Il cuore di Christine (intesa come film, come Plymouth, e come macchina celibe, dato che in fin dei conti gli uomini non li sposa, li sucks come Mae West o il Vietnam di Kubrick) è la sua autoradio. Christine viene sfasciata mille volte, si schianta, va in fiamme, parabrezza sfondato, motore e fili elettrici intorcinati. Un sosia di Travolta — omaggio a Carrie, non c'è dubbio — le caca persino sul sedile. Eccola, carcassa fumante, con tutti i vetri infranti, le gomme a terra. Carpenter verifica, come un medico legale: infila la cinepresa-stetoscopio proprio al centro dell'organismo, tra le costole (volante-sterzo-posacenere). La FM si accende. Vavavuma.
Il cuore della Plymouth pompa ancora, e nelle vene di Christine scorre rock and roll. Rock fifties, esclusivamente: oldies but goodies, ossia buon sangue non mente. È un fatto genetico, come i capelli neri delle ragazze meridionali o le macchie sulla pelle. Non è cattiva, Christine: è solo che è stata designed così. Roba tosta, generazione '58. E allora quel che in qualsiasi altro film sarebbe un'idea pacchiana, infantile, in un film di Carpenter diventa genio artigianale (che non esclude né pacchia né infanzia): perché Christine con quella musica parla. Quando il vecchio porco del garage vuole ficcare il naso nella carrozzeria (ossia ficcare altro in altro) lei lo sfancula: "Keep a knockin', but you can't come in / Keep a knockin', but you can't come in" (Keep a knockin', Little Richard). Quando alla fine il suo giovane proprietario Arnie Cunningham attraversa il parabrezza e agonizza con un pezzo di vetro piantato in pancia, lei strilla come una mamma siciliana: "Forever my darling our love will be true / Always and forever I’ll love only you / Just promise me darling your love in return / May this fire in my soul dear forever burn" (Pledging My Love, Johnny Ace). E quando finalmente viene ridotta a un mucchio di ferro per lo sfasciacarrozze, minaccia e promette "Rock 'n roll is here to stay, / it will never die / It was meant to be that way, / though I don't know why" (Rock & Roll Is Here to Stay, Danny & The Juniors). Ultima immagine: Christine nella discarica, come Marilyn Chambers nel film di quello là quando faceva ancora film seri. Ridotta a un cubo di metallo, inerte groviglio di rabbia. La cinepresa si allontana lentamente, stavolta è finita davvero, poi Carpenter dice alt ragazzi, un momento, verifichiamo un'ultima volta l'elettroencefalogramma di questa puttana. Intuizione professionale. Un pezzettino di lamiera si sposta impercettibilmente. Risuona l'attacco di Bad to the Bone. Dev'essere solo un riflesso nervoso. Capita, a volte. End Credits.


Stavolta, quando ho rivisto Christine (un film minore, ripeto), a colpirmi è stato proprio questo: non è un film su una macchina stregata, quello è un gimmick. Non è una storia di passione erotica, quella è una banalità. Non è neppure un musical, in fondo. È un film sulla musica, e più precisamente un film sul rock, forse il migliore che sia mai stato fatto. Perché è fatto da uno che il rock lo conosce a menadito, nel ’58 aveva dieci anni, con quella musica è cresciuto, è grazie a quella roba (mischiata con Hawks, un cocktail per fegati a prova di bomba, altro che happy hour) che ha fatto i film che ha fatto mandando a quel paese il suo paese. E perché è fatto da uno che sa che quell'epoca è finita, che il rimpianto dei "good ol' times" può trasudare fascismo, oltre che benzina, che Christine ormai è solo una madre-Urano che divora i propri figli, altro che contestazione e fight the power. Che se Christine sente esclusivamente rock '58, un po' lo fa perché è cool, perché è "fica", un po' perché è reazionaria. Non è grave. Basta saperlo.

P.S.: Basta saperlo che uno dei passatempi preferiti a Guantanamo è prendere un terrorista di Al-Qaida (si riconoscono dal fatto che hanno la barba lunga), chiuderlo in una cella completamente vuota, completamente buia, senz'alcuna aerazione (a Cuba può fare molto caldo), metterlo accovacciato in posizione da cesso turco, con le mani ammanettate dietro le caviglie e una catena che lega il tutto a un pesante anello inchiodato al suolo. Lo lasciano lì così, a volte per sei ore. Con musica heavy metal a tutto volume, roba tosta, da farti scoppiare la testa.

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